La storia dietro la schiuma

La storia dietro la schiuma

Conoscere i luoghi, vicini o lontani, non vale la pena non è che teoria; saper dove meglio si spini la birra è pratica vera, è geografia.” (J. W. Von Goethe)

Il termine “birra” condivide la stessa radice etimologica di “brace”, parola appartenente al celtico che, da quanto si evince dalle opere dello scrittore latino Plinio, stava ad indicare una particolare tipologia di cereale (scandella od orzo distico) fatta prima fermentare e, in seguito, bruciata al fine di ricavarne una bevanda.

L'italiano antico ricorre alla parola “cervogia”, similmente alla spagnola “cerveza”, anch'essa probabilmente derivata dal termine celtico “ceruesia”, il quale designava la colorazione di una particolare birra scura, simile a quella del manto di un cervo.

Le prime testimonianze di una bevanda analoga alla birra risalgono all'antica Mesopotamia, circa seimila anni fa. Non è chiaro come abbia avuto luogo la scoperta del processo di fermentazione, ma si suppone che essa sia avvenuta in maniera del tutto casuale: dell'orzo sarebbe stato lasciato inumidire per sbaglio, dando il via alla fermentazione che lo avrebbe poi tramutato in pane.

Non a caso, pane e birra vanno di pari passo.

Ulteriori indizi ci vengono forniti da un bassorilievo sumero su cui è possibile notare raffigurati, in successione, dell'orzo, del pane cotto e in seguito inumidito fino a diventare poltiglia, ed infine una bevanda in grado di “generare benessere”.

L'assenza di un sistema di filtraggio rendeva la birra particolarmente torbida; per questa ragione, il suo consumo prevedeva l'utilizzo di una cannuccia, cosicché i residui amarognoli della bevanda non si depositassero sulle labbra.

All'epoca era usanza dei maestri birrai preparare giornalmente la birra affinché le truppe assiro-babilonesi potessero esserne costantemente rifornite.

Quando la birra giunse in Egitto, tale fu il suo impatto sulla cultura babilonese che il celebre re Hammurabi inserì nel suo codice una legge che ne limitasse il consumo dai due ai cinque litri, a seconda della classe sociale di appartenenza. A tal proposito, la tomba di Kenamun, ciambellano del faraone Amenophis, contiene un affresco raffigurante degli operai dediti all'impasto di grosse quantità di pane. Difatti, in Egitto il birraio era anche soprannominato “uomo del pane”.

Col passare del tempo la birra divenne merce di scambio, spesso barattata con i cereali.

Una leggenda narra di Ra, dio del sole e creatore del mondo, il quale ordinò la produzione di sette otri di birra al fine di inebriare la dea Hator e assopire così la sua collera nei confronti del genere umano.

La cultura della birra si estese poi anche al mondo greco-romano. Plinio racconta della sua rapida diffusione nel bacino Mediterraneo ben prima del vino e della vite. Dai romani, tuttavia, la birra veniva considerata una bevanda adatta alle popolazioni barbare e fu perciò rapidamente soppiantata dal vino. La sua produzione proseguì comunque nelle zone dell'impero in cui le condizioni climatiche non consentivano la coltivazione della vite.

La birrificazione si diffuse poi soprattutto negli ambienti monasteriali: era scopo dei monaci consolidare il legame tra birra e religiosità. Non a caso, infatti, le prime donne a produrre birra furono proprio le sacerdotesse dei templi.

Tra questi, spiccano in particolare i trappisti, monaci affiliati all'Ordine Cistercense della Stretta Osservanza. Malgrado le rigide regole a cui erano sottoposti, come ad esempio l'imposizione di bere soltanto acqua, fu comunque loro concesso di continuare a produrre birra.

A quei tempi la birra era a bassissimo contenuto alcolico, mentre quelle più 'pesanti' erano riservate a circostanze eccezionali. Ad esempio, in Gran Bretagna una particolare tipologia di birra, la “bride ale” (birra della sposa), veniva prodotta appositamente in occasione delle cerimonie nuziali. Con il trascorrere del tempo, la birrificazione divenne una prerogativa prettamente maschile. I monaci s'impegnarono a migliorare il sapore della bevanda e, con l'incremento della produzione, le eccedenze iniziarono ad essere vendute al di fuori dei monasteri.

Ben presto i regnanti intuirono le possibilità di guadagno da una tale commercializzazione e tentarono di ostacolare i monaci, che non erano tenuti a pagare le tasse, nei loro traffici.

Il consumo di birra era incoraggiato anche in quanto considerata più salutare rispetto all'acqua che, all'epoca, era spesso contaminata. Con il trascorrere del tempo, nella birrificazione venne introdotto anche il luppolo, allo scopo di aiutarne la conservazione e migliorarne il sapore.

Il luppolo andò a sostituire il “Grut”, un mix di erbe composto da bacche di ginepro, prugnolo, corteccia di quercia, assenzio, seme di cumino selvatico, anice, genziana e rosmarino. Alcune di queste erbe erano velenose e potevano produrre effetti allucinogeni o addirittura mortali. Il loro utilizzo comportò una serie di decessi inspiegabili che alimentarono le superstizioni riguardanti le streghe della birra, successivamente perseguitate dall'inquisizione. Si racconta che l'ultima strega sia stata arsa nel 1591.

Con l'aggiunta del luppolo la birra svelò il proprio aspetto benigno e assunse un sapore simile a quella dei giorni nostri. Basti pensare che nel 1516 Guglielmo IV, duca di Bavaria, emanò la Legge Germanica di Purezza della Birra, decretando che per la produzione della stessa fossero utilizzati unicamente orzo, luppolo e acqua pura.

L'impiego del lievito era all'epoca ancora sconosciuto e il processo di fermentazione avveniva ancora in maniera casuale.

Nel tempo la birra iniziò a essere esportata; nel XVI secolo, la società Hansa fissò centri di produzione, stoccaggio e smistamento a Brema -fornitore di Olanda, Inghilterra e Paesi Nordici ed India-, Amburgo ed Einbeck, dove veniva prodotta la birra Bock.

Anche la città di Berlino svolse un ruolo di primaria importanza e sviluppò un'importante tradizione birraria: fu grazie a Federico Guglielmo I che la birra divenne socialmente accettata e il suo consumo si diffuse a corte.

Una nuova forma di birrificio, detto altresì 'birrificio a vapore', fu creato grazie all'invenzione di Watt, mentre, per merito della refrigerazione di Linde, fu possibile mantenere i 4 – 10 gradi centigradi indispensabili alla produzione di una buona lager, cosa fino ad allora realizzabile soltanto attraverso l'utilizzo di grossi blocchi di ghiaccio o avendo a disposizione delle profonde celle fredde. In particolare, l'impianto di raffreddamento di Linde fu adoperato per la prima volta in un birrificio di Monaco.

Nel 1876, anche Louis Pasteur pubblicò un trattato sulla birra intitolato “Etudes sur la bière” su cui furono riportate importanti scoperte scientifiche.

Un'altra fondamentale innovazione fu apportata da Christian Hansen, il quale fu in grado di isolare una singola particella di lievito e, in seguito, a riprodurne i microrganismi in una coltura artificiale, migliorando il sapore della birra e incrementandone la purezza.

Curiosità: attualmente sono tre i requisiti fondamentali per poter conferire a una birra il titolo di “trappista” e di conseguenza il logo esagonale “Authentic Trappist Product”:

  • è necessario che essa venga prodotta in un'abbazia trappista;
  • il processo di produzione dev'essere direttamente seguito dalla comunità monastica;
  • i proventi devono essere adoperati dall'Ordine al fine di perseguire atti caritatevoli.

L'esagono rosso, simbolo dell'autenticità dei prodotti trappisti, fu creato nel 1997 con la fondazione da parte di otto abbazie trappiste (sei belghe, Chimay, Orval, Rochefort, Westmalle, Westvle-teren e Achel, una tedesca, Mariawald, e una olandese, Ko-ningshoeven) dell'ITA, l'Associazione Trappista Internazionale, allo scopo di salvaguardare la genuinità dei loro prodotti (comprendenti anche formaggi, distillati, ecc.). Fu anche determinata una sorta di disciplinare di produzione che servisse ad ostacolare l'uso improprio del marchio e a consentire ai monaci cistercensi di apporre il bollino rosso sui loro prodotti se ne avessero rispettato le norme.

Al giorno d'oggi, sono solamente sette i birrifici a cui è permesso di etichettare le proprie birre con il marchio “Authentic Trappist Product”: Bières de Chimay, Brasserie d'Orval, Brouwerij Westmalle, Brasserie de Rochefort, Westvleteren, Brouwerij de Achelse Kluis in Belgio e la Brouwerij De Koningshoeven (La Trappe) in Olanda, alla quale in particolare fu revocato l'utilizzo del logo dal 1999 al 2005 a causa del mancato rispetto della norma che ne vietava la produzione a scopo di lucro.

Liberamente ispirato a “Bionda a chi? La birra artigianale… un’altra storia” di Filippo Bitelli, Andrea Govoni e Michela Zanotti, pubblicato da Edizioni del Loggione srl - www.loggione.it

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